Voi non pensate mai che un tempo eravate molto meglio di adesso? Che facevate cose più belle, eravate più attivi, meno paranoici, più fighi in generale?
È un discorso da passatista del cazzo, sempre che passatista voglia dire quello che penso voglia dire, e io me lo ripeto spesso. Perché di fatto SONO una passatista del cazzo, ed è una cosa di me che odio.
Anni fa andavo in Giappone di continuo, ero una figa. Ho preso e sono partita per un anno, ero una figa, oggi me la farei sotto. Anni fa mi svegliavo allegra la mattina. Anni fa anni fa anni fa.
Stasera mi sento una nullità e mi viene da pensare a quanto invece I used to be l’opposto di una nullità. Perlomeno ai miei occhi di oggi. Io non sono mai una figa nel presente, nel presente sono SEMPRE una nullità, salvo poi ricorrere al revisionismo storico e dichiararmi una figa nel passato.
Avere una casa e un lavoro dovrebbe farti felice, invece ti rincoglionisce e basta. Ti succhia la voglia di fare qualsiasi altra cosa, come dico sempre del lavoro d’ufficio, che è la morte dei buoni propositi.
Perché restiamo fermi in un posto quando là fuori c’è l’intero cazzo di universo? Perché lavoriamo 49 settimane l’anno? Dovrebbe essere illegale. Lavorare non rende felici, rende schiavi. Lo zio Adolf aveva torto con quella scritta lì ad Auschwitz. Perlomeno il lavoro com’è inteso nel 90% dei casi, ovvero in un luogo in cui devi necessariamente farti vedere ogni giorno per tot ore. Se non è inumano questo. Essere costretti per tutta la vita ad andare nello stesso posto tutti i giorni, quando là fuori c’è L’UNIVERSO. Sarebbe come mangiare ogni giorno la stessa cosa, buona o cattiva che sia, tutti i giorni la stessa forever. Come si fa a non capire quanto sia profondamente sbagliato e disumano?
Forse parlo così perché mi manca la mia amica Anna, che è sempre in viaggio in qualche parte sconosciuta del mondo e con cui spesso ho fatto discorsi di questo tipo, su una spiaggia in Ecuador o in un alberghetto cambogiano o al karaoke in Giappone o in tenda sulle Alpi. Lei è molto meglio di me. Lei pensa le cose e le fa, io al massimo le scrivo sul blog.
Arriva un momento dell’anno in cui sbrocco e capisco che non valgo un cazzo, e per valere qualcosa dovrei almeno essere una che conosce molti altri posti. Invece mi ritrovo qui con il lavoro che va a rotoli, a breve un mutuo da pagare e nessuna aspirazione a mettere su famiglia. Voi direte ah la nostra generazione di over 30, siamo tutti sulla stessa barca! Beh la mia risposta è STICAZZI. Stateci voi su questa barca di merda. L’impulso è di mandare affanculo tutto, ma poi è difficile farlo senza un piano B.
La mia mancanza di piani B mi spaventa e mi opprime. Se fallisce quello A (e di fatto sta mezzo fallendo) dove vado a sbattere la testa? Che mi invento? Ah, la generazione capace di reinventarsi ogni volta! Ma quando mai?! Di certo non io.
Perché non sono coinvolta in progetti entusiasmanti? Perché nessuno mi chiama al telefono e mi dice (seriamente) “ti voglio con me per questa cosa e ti pago”? Perché capita solo agli altri?
Non crediate che sia così idiota da non sapere la risposta, che è di una semplicità disarmante. Perché gli altri si sbattono come pazzi e io no. Perché evidentemente non ho fatto nulla, NULLA, nella mia vita per meritarmi telefonate di questo tipo.
Non solo, quando penso di stare facendo bene una cosa (cioè tradurre, l’unica che so fare) invece di farmi i complimenti e darmi un aumento mi abbassano la tariffa e mi dicono se non ti sta bene quella è la porta. Cazzo che lavoro ricco di soddisfazioni che mi sono scelta. Se fossi furba avrei già svariati piani B. Invece non ne ho.
E sinceramente, veramente dal profondo del cuore, non so se sperare che a luglio mi rinnovino il contratto in ufficio o mi licenzino. Sperare di essere licenziata è chiaramente folle, data anche la prospettiva del mutuo imminente. Me ne rendo conto. Ma penso cazzo sarei LIBERA. Tornerei free lance pura. Se mi licenziano parto e sto via un mese, GIURO CAZZO GIURO. La gatta la lascio a qualcuno, qualcuno troverò. Poi torno e sbatto la testa al muro tutto il tempo che mi resta da vivere. Come facevo quando ero free lance pura.
Se invece mi fanno il tempo indeterminato chiaramente offro una cena a chiunque, mi ubriaco e penso ok, di fame non morirò, ho una pezza d’appoggio, ho gli straordinari pagati. Ma poi bye bye universo. Forever. E mi ubriaco per non pensarci per tutto il tempo che mi resta da vivere. Che, attenzione, ogni giorno che passa è di meno.

Stasera va così, il bicchiere è sempre mezzo vuoto. È un lose/lose, quando invece in altri momenti è un win/win, perché io in teoria sarei una ottimista.
Ma ne riparliamo tra qualche mese, quando saprò di che morte morire, nel vero senso della parola.

Vado a letto a sentirmi una fallita ma prima ci tengo a ringraziare pubblicamente JACK, che dopo anni e anni di commenti criptati si è rivelato via mail e tra le altre cose mi ha detto “ti odio da quando non scrivi più, hai un dono per piegare alle tue esigenze le frasi fatte”. Che a mia memoria è l’unico complimento reale e circostanziato ricevuto da qualcuno per come scrivo, cioè un po’ oltre il solito, apprezzato ma anche basta, “scrivi bene”.
Scrivere qualcosa, oltre che bene, sarebbe in ogni caso un discreto passo avanti. Ma tanto il piano B non sarà mai diventare scrittrice, quello è certo.

Ti voglio bene Jack.